Il riciclo è una pratica che, se applicata agli Fgas, ha un valore inferiore rispetto al processo di rigenerazione. Mettiamo a confronto i due processi di trasformazione e scopriamo le differenze.
Vi sarà capitato, almeno una volta, di acquistare un quaderno o una bottiglia con carta o plastica riciclata: in questo caso avete fatto una buona azione per l’ambiente e contro lo spreco di energia.
Se nella vita quotidiana il riciclo ha un’accezione positiva, nel settore della refrigerazione il gas riciclato viene di fatto considerato, in virtù di prove di laboratorio effettuate, un prodotto di categoria inferiore rispetto al gas rigenerato. La differenza sostanziale tra i due gas sta nel riutilizzo e nella composizione: mentre il gas rigenerato è un prodotto che può essere riutilizzato più volte, perché da rifiuto è trasformato in sostanza con la stessa composizione chimica di quello vergine, il gas riciclato ha dei limiti di utilizzo, perchè è il risultato di una filtrazione di base che solitamente non contempla la verifica della corrispondenza della composizione chimica, rendendolo un gas refrigerante di provenienza ignota.
Scopriamo nel dettaglio in cosa consiste il processo di riciclo e la sua differenza in termini di produzione e impatto ambientale.
ll gas riciclato
Secondo l’articolo 8 del regolamento F-Gas del Ministero dell’Ambiente, il gas recuperato (estratto e confinato in recipienti) deve essere destinato al riciclo, alla rigenerazione oppure alla distruzione. Si tratta di processi molto diversi.
Per quanto riguarda il gas riciclato, è il risultato di un lavoro di purificazione del gas estratto dagli impianti per eliminarne le componenti impure. Nonostante questo processo sia volto a migliorarne la formula, i gas riciclati continuano a mantenere delle sostanze impure e una ricetta differente da quella iniziale. Questo aspetto influisce negativamente sull’efficienza delle apparecchiature, perchè i gas riciclati hanno prestazioni più basse rispetto a quelli vergini, necessitano di interventi di manutenzione frequenti e comportano maggiori consumi energetici che si traducono in un peggiore impatto ambientale (quindi entreremmo in un circolo vizioso).
Cos’è la composizione chimica ignota
Oltre agli agenti inquinanti che permangono in un gas riciclato, un altro aspetto negativo è la sua composizione ignota. In assenza di strumentazioni e procedure di analisi tipiche di un laboratorio chimico, con il riciclo non si può verificare la corrispondenza della composizione chimica del gas estratto dagli impianti ai requisiti previsti dagli standard AHRI 700-2019.
Verificare la corrispondenza della composizione chimica del gas refrigerante è infatti molto complesso, perché durante la vita di un impianto, la carica del refrigerante può arricchirsi di inquinanti (olio, umidità, acidità, gas incondensabili, particolato) che possono stravolgerne la composizione chimica. Secondo il regolamento Fgas, la dubbia composizione e l’output del processo di riciclo senza alcuna corrispondenza ad uno standard internazionale comporta dei limiti di riutilizzo del gas riciclato, che il gas rigenerato, invece, non ha.
Complicazioni normative e le responsabilità per il confezionamento e l’utilizzo del “gas riciclato”
Il confezionatore del gas riciclato dovrà garantire che le attività di conservazione, movimentazione e utilizzo del gas siano effettuate nel rispetto della normativa vigente in tema di sicurezza sul lavoro. Questa normativa prevede l’obbligo della valutazione del rischio chimico, valutato sulla base della Scheda di Sicurezza (SDS oppure MSDS) della sostanza chimica. Il confezionatore, inoltre, non può utilizzare la scheda di sicurezza del gas vergine o rigenerato (ad esempio scaricandola da internet), perchè il prodotto riciclato non è chimicamente corrispondente all’analogo prodotto vergine o rigenerato; di conseguenza la sostanza chimica riciclata resta priva di scheda di Sicurezza e quindi, senza una adeguata valutazione del rischio.
Quali sono le caratteristiche del gas rigenerato
Il gas rigenerato è una miscela che attraverso un processo tecnologico da rifiuto diventa risorsa: infatti il risultato finale è un gas con la stessa composizione chimica di quello iniziale (gas vergine). Il lavoro di rigenerazione è svolto da aziende autorizzate dal Ministero dell’Ambiente che, alla fine del processo, etichettano il gas secondo le norme di conformità allo standard tecnico AHRI 700. Questa sigla certifica una corrispondenza delle performance degli apparecchi di refrigerazione, a quelle dichiarate dalle case produttrici.
L’uso di gas rigenerati certificati e dunque a norma, consente di avere impianti termodinamici al massimo delle prestazioni, la limitazione degli investimenti, il prolungamento della vita dell’impianto e una riduzione dei consumi quando il trattamento di rigenerazione è effettuato in stabilimenti appositamente attrezzati. I risultati positivi dell’utilizzo di un gas rigenerato negli impianti comprendono anche l’immutabilità della composizione o il suo miglioramento, grazie all’addizione di gas refrigerante conforme agli standard qualitativi. L’output del processo di rigenerazione, svolto seguendo tutti gli standard internazionali, rende il gas rigenerato un prodotto il cui utilizzo non ha confini.
Etichettatura a norma
La normativa F-Gas prevede l’utilizzo del gas riciclato, a patto che sia obbligatoriamente collocato in contenitori etichettati, per garantire un minore impatto ambientale rispetto all'immissione in atmosfera. Il regolamento (UE) n.ro 517/2014 Art. 12 par. 6 (DPR 146/2018 Art. 19) parla chiaro: “I gas fluorurati a effetto serra rigenerati o riciclati sono etichettati con l’indicazione che la sostanza è stata rigenerata o riciclata, informazioni sul numero di lotto e il nome e l’indirizzo dell’impianto di rigenerazione o riciclaggio”. L’etichettatura identifica anche il tecnico manutentore che ha effettuato il riciclo, che dovrà rispettare gli obblighi previsti dal Regolamento F-Gas e quelli derivanti dalle altre norme applicabili (Reach, CLP, ADR).